Ciao Whiris!
Su Parola di Quattrocchi ho portato il punto di vista di Marianna, la boss di Zandegù, che si occupa di “ebook, corsi e digital fun”.
Le ho fatto così tante domande da poterla presentare anche qui, sicura che tra di voi ci sia qualcuno interessato all’editing, all’impaginazione, alla scrittura o magari a frequentare un corso pratico sulla comunicazione!
E nel caso vi interessi fare aperitivo, preparatevi a conoscere le Zandebirre.
Zandegù è una casa editrice digitale in carne e ossa.
È sempre stato così? Com’è iniziata l’avventura?
Abbiamo iniziato nel 2005, siamo stati editori tradizionali come tanti altri.
Ci siamo resi conto che non funzionava: non guadagnavamo abbastanza.
Dopo una pausa di riflessione, nel 2012 abbiamo deciso di investire negli ebook.
Il digitale è una via che stanno percorrendo molte aziende, ci hanno tormentato così tanto con
l’associazione digitale-futuro che sembra essere la naturale conseguenza per molti.
Ha funzionato?
Vendiamo e guadagniamo molto di più.
Ma nel mondo dell’editoria la considero una cosa strana, perché l’ebook è spesso il fratello povero del libro.
Penso che il successo risieda nel fatto di realizzare manuali.
Si è rivelata una scelta azzeccata, perché l’idea di utilizzare il digitale per la manualistica sembra avere fatto
presa.
Si tocca un tasto dolente, in effetti. Ci sono i famosi “puristi” che se non sentono il profumo della carta
non prendono nemmeno in considerazione il contenuto.
Cosa ne pensi di questo spacco che si è creato?
Vorrei ci facessimo una grossa risata sopra alle polemiche sugli ebook: dov’è il problema?
Sarebbe più utile impegnarsi e battersi per qualcosa di più importante dato il periodo storico in cui ci troviamo.
Per me l’importante è leggere.
Sul tema “supporti alternativi di lettura” sarebbe interessante capire come vanno gli audiolibri, se subiscono lo
stesso trattamento degli ebook.
O la diffusione di narrazioni tramite i podcast, che nascono come
funghi. Ammetto che sul tema mi sento ancora parecchio ignorante visto che ne
avrò ascoltato uno e mezzo!
Il digitale legato all’editoria offre davvero opportunità differenti, è un bello spazio creativo in cui
potersi muovere.
Come sei arrivata a tutto questo? Al digital e prima ancora all’editoria.
Dopo il liceo ho frequentato la Scuola Holden, che era molto diversa rispetto a ora.
Mi sono iscritta al master in tecniche della narrazione.
Volevo fare la giornalista o il critico cinematografico.
Alla Holden era tutto basato sulla narrativa, ovviamente, e io, dopo due anni di studio, ho intuito che non ero
portata.
Ho capito, però, che mi piaceva lavorare sui testi degli altri. Ma per arrivare all’editoria mi ci è voluta una
spinta.
Mio padre mi ha consigliato di buttarmi, e così è nata Zandegù.
Per cinque anni mi sono occupata di narrativa e, grazie alla mia giovane età, facevo notizia.
Era più che altro successo mediatico, perché come dicevo a livello di vendite è stato un mezzo disastro.
Cosa pensi sia andato storto?
Forse la mia capacità imprenditoriale non era così eccezionale. La scarsa propensione a fare rete con altri
operatori del settore.
E la distribuzione non proprio delle migliori per arrivare in modo capillare in libreria.
È una grande fatica, sempre, soprattutto se lavori nell’ambito culturale.
Non c’è mai quel momento in cui dici “ok, ho imparato qualcosa, posso prenderla con più calma”.
Il mercato, i gusti, la comunicazione cambiano in frettissima, bisogna sempre essere sul pezzo, non ci si può
fermare.
A proposito di grandi incognite: l’università.
Legate a questo mondo ci sono una miriade di domande. C’è chi la fa e arriva in fondo chiedendosi a cosa sia
servita, altri che si sentono in difetto per non averla fatta. Altri ancora che per diverse ragioni non la
portano a termine.
In questo periodo in cui “tutti” vanno all’università, ti è mai capitato ti abbiano fatto pesare di non
averla frequentata? Qual è il tuo punto di vista, la tua esperienza?
In tanti anni di lavoro nessuno mi è mai venuto a dire che mi mancava qualcosa.
E personalmente ritengo che le ossa molto spesso te le fai lavorando.
Nell’ambiente dell’editoria penso siano anche utili master di specializzazione o corsi specifici, in cui poter
mettere in pratica la teoria.
Bisogna anche bazzicare l’ambiente, magari leggendo blog o frequentando fiere ed eventi.
Ritengo fondamentale, però, non finire in un loop di formazione.
Ci vuole molta intraprendenza: partire dal piccolo e fare tanta gavetta.
A proposito di corsi, come funzionano quelli di Zandegù?
Zandegù fa corsi di grafica, illustrazione, narrativa e comunicazione per un pubblico di persone creative.
Apriamo le iscrizioni della nuova stagione il 15 luglio.
Offriamo strumenti per coltivare la propria creatività, ma niente tematiche troppo tecniche come ADV per Google o UX.
Ai nostri corsi ci si ritaglia del tempo per sé, così da utilizzare i neuroni in modo più creativo.
Università, corsi, futuro… Sono discorsi impegnativi per il mese di luglio.
Meglio parlare di Zandebirre: com’è nata l’idea?
Dopo l’orario di lavoro andavamo a berci una birra in compagnia.
L’idea è venuta a un amico, e l’abbiamo affinata per renderla un progetto effettivo di Zandegù.
All’inizio abbiamo aperto “al pubblico” questo ritrovo: si andava in giro per Torino e ci si dava appuntamento in un locale.
Una volta aperta la sede di Zandegù abbiamo deciso di spostare le Zandebirre da noi e le organizziamo tre o quattro
volte l’anno.
Le persone vengono a conoscerci, si parla, si scherza.
È un ambiente rilassato, amichevole e Heineken ci omaggia della birra.
Quindi se volete passare il 16 luglio dalle 19 siete tutti i benvenuti!
Pubblicato da Francesca Panciroli, in collaborazione con Parola di Quattrocchi.